L’anima delle favole – Ultimo venne il verme di Nicola Cinquetti

Pubblichiamo l’intervento con cui il professor Mauro Meneghello ha introdotto il libro di favole di Nicola Cinquetti, Ultimo venne il verme (finalista premio Strega Ragazze e Ragazzi 2017), in occasione della prima presentazione del volume, tenutasi presso la Società Letteraria di Verona. Non si tratta propriamente di una recensione, ma di una riflessione sui motivi di carattere esistenziale e psicologico che ricorrono nelle favole raccontate dallo scrittore veronese. Un testo inedito, dedicato a chi pensa che la favola possa essere una preziosa via di accesso al mondo interiore.  

Nicola Cinquetti, Ultimo venne il verme. Favole, Bompiani 2016

Appunti critici di Mauro Meneghello

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Le favole raccolte in questo volume si possono considerare - nella loro varietà - incardinate su un elemento centrale che funge da perno stilistico, strutturale e materiale: la ripetizione.

  • Si osserva la ripetizione di formule narrative o dialogiche, tipiche peraltro dello stile favolistico in ragione del suo dimorare originario nell'ambito dell'oralità;
  • Lo sviluppo degli eventi avviene circolarmente, per ripetizione di un medesimo cliché in contesti o con personaggi variabili;
  • La materia del racconto è di frequente una quête, che non mostra di avere sempre un oggetto ben preciso, ma che si svolge - di norma - attraverso la ripetizione di schemi di pensiero o d'azione fino ad una spannung che mette in crisi la dinamica ricorsiva e conduce ad una risoluzione.

È quindi possibile riscontrare una omogeneità gerarchica di materia, struttura e stile nei cinquantasei brevi testi di Nicola Cinquetti.

Ossessivi amabili.

I personaggi creati dalla fantasia dell'autore sono animali umanizzati, bambini e anche adulti un po' incerti e sperduti in un mondo tutt'altro che benigno.

  • In uno sviluppo ampio e colorato del tema de Il brutto anatroccolo di Hans Christian Andersen, incontriamo personaggi che si sentono emarginati, fuori posto, misconosciuti dai più (Il cane poeta, Il bambino di traverso, Cuore di gallina, Il ragno che non sapeva tessere);
  • Altri sono gettati nel disagio dall'irrompere di una dimensione sconosciuta della vita (i libri per l'orso in L'orso non dorme, ad esempio) che la mette improvvisamente a soqquadro;
  • Altri ancora patiscono la rigidità del proprio mondo ideale (il principino de Il mestiere di mangiare minestra) o la chiusura serrata dei propri schemi d'azione (il pirata di Sudava sette camicie).

In molti casi essi si trovano dunque a fronteggiare la difficoltà esistenziale di riconoscersi ed essere riconosciuti, di allacciare un dialogo con l'Altro che consenta loro di trovare uno spazio nel mondo in cui sentirsi a proprio agio. Mi pare di poter riconoscere in questa ricerca di elementi di sicurezza - specialmente affettiva - il filo (rosso? o ha più i colori grigio azzurri di un orizzonte scandinavo?) che unisce le storie uscite dalla penna di Nicola Cinquetti.
I personaggi che più colpiscono sono quelli che definirei degli «amabili ossessivi»: esistenze in vari modi imprigionate in rigidi schemi d'azione, o ingabbiate da un'idea fissa. L'autore li tratteggia con rispetto e delicatezza, aprendo immediatamente al lettore la via dell'empatia e dell'identificazione: esclusi da un mondo di libertà a cui a volte non sembrano neppure anelare, trovano spesso salvezza aprendosi al sentimento, al gioco, alla fantasia e all'arte. In altri casi invece...
Narciso

La ricerca sopra descritta si trova adombrata nel tema di Narciso, che affiora tra una favola e l'altra con una frequenza che non pare casuale. Il presentarsi della mitologica fonte del rispecchiamento (L'orso non dorme, Le orecchie dell'asino), di temi legati al narcisismo infantile (L'orologio più grande, Il pianto della balena, Il pavone più bello, Il migliore di tutti), fino alla spassosa Favola di Io e Tu o all'irridente e inquietante Il bambino pappagallo; evocano tutti il mito del giovinetto (uomo in un bambino, bambino in un uomo) che vive la sconvolgente esperienza di riconoscersi in qualcuno che - a prima vista - gli risulta del tutto estraneo.
Narciso è in effetti un cercatore, e la sua ricerca si compie nel nome dell'Eros. I personaggi delle favole citate si trovano in una ricerca di identità - quantomeno di frammenti concreti di essa - quale ho cercato di descrivere sopra, e come per Narciso anche per loro la forza unificante, il collante capace di tenere insieme elementi spesso divergenti della vita, è l'amore. Nelle favole di Cinquetti questo amore non è enfatizzato, inflazionato e perciò depotenziato: rimane un nucleo silenzioso, un cuore pulsante e nascosto che alimenta e muove i gesti e le parole - sono spesso domande - dei protagonisti.
La rivelazione della fonte sacra è in qualche caso l'evento capace di spezzare il circolo coattivo che imprigiona i personaggi (l'asino di Le orecchie dell'asino, il riccone di L'orologio più grande, o Io e Tu nella Favola di Io e Tu). In altri casi l'autore va alle origini, e ci racconta invece come tale circolo si possa essere generato (L'orso non dorme, Il bambino pappagallo).
Vedere e ascoltare

Il riconoscimento autentico non può accontentarsi dell'apparenza, dell'immagine proiettata da uno specchio (o da uno schermo): è questo uno dei temi ricorrenti in diverse delle favole presenti nella raccolta. Il pericolo della superficialità, insito negli assetati di bellezza che popolano i racconti di Cinquetti, viene perentoriamente e invariabilmente inquadrato dalla penna dell'autore. Che suggerisce con forza la via per non cadere nella trappola dello sguardo di superficie: l’ascolto apre la percezione e la conoscenza ad un mondo a tutto tondo, nel quale compare anche la profondità. Persone e cose vengono liberate dalla prigione della bidimensionalità, presentando facce nascoste, aprendo cammini per direzioni a prima vista impossibili.
È attraverso una comprensione ampia - a tutto tondo - del Mondo, che è possibile cogliere e rendere attuali una molteplicità di prospettive: da nuovi punti di osservazione, guadagnati con l'apertura all'ascolto, è possibile vedere l'altezza di ciò che prima stava solo in basso, scoprire cosa può iniziare da ciò che prima pareva solo una fine, cogliere la nobiltà e il valore di ciò che prima pareva ignobile e meschino.
L'ultimo non diventa il primo facendo la rivoluzione nel Mondo di fuori e lasciando intatto il Mondo di dentro. Senza scalfire l'immaginazione che dell'ordine esteriore è matrice e ragione, un cambiamento reale non si dà, poiché il Mondo cambia veste ma rimane nella sostanza il medesimo. La rivoluzione messa in atto dai personaggi di Ultimo venne il verme è sul genere di quella copernicana: riuscire a guardare il vecchio con occhio nuovo, e tutto ciò grazie... all'orecchio.

Mauro Meneghello